Dizionario Biblico
Riguarda il ritorno di Cristo (2 Co 5:171) sulla terra, promesso nel N.T (1 Co 15:23; 2 Te 2;1-2, 8; Mt 24:36; 26;64; Gv 14:3; At 1:11; Fl 3:20; 1 Te 4:15-16; Tt 2:13; Eb 9:282) e atteso con speranza (Eb 10:25; Gm 5:9; 1 Pt 4:5; Mc 1:15; Mt 6:10; Mc 14:253), come imminente, dalla Sua chiesa (1 Co 10:11; Mt 24:44; Fl 3:20; Tt 2:134). “Se qualcuno non ama il Signore sia anatema. Marana tha*” (1 Co 16:225). Cristo venne come “Agnello” la prima volta, ma ritornerà come “Leone”, per stabilire il Suo Regno.
Nell’A.T. a Dio stesso è riconosciuto tale compito nei confronti d’Israele (Sl 80:11) e dei Suoi figli (Sl 232), mentre nel N.T. è Gesù a essere identificato con tale termine (Gv 10:11-163). Nella nascente Chiesa questa figura non esisteva poiché ogni singola comunità era guidata da un gruppo di anziani o vescovi (presbiteri o sorveglianti (1 Ti 4:14; At 20:284), avvalorati dall’affermazione di Pietro (1 Pt 5:1-25). Paolo in (1 Ti 3:1-7 e Tt 1:5-96) ne descrive le qualità necessarie. È solo nel II sec. che inizia la differenziazione di tali cariche che portano, tra il III e IV sec., a una preminenza del grado vescovile. È con l’avvento della riforma protestante (XVI sec.) che il termine identifica il ministro di culto che, in età moderna, oltre alla chiamata, deve avere un’adeguata preparazione biblica, dottrinale, spirituale e sociale. È importante, però, sottolineare che l’accento non è sul titolo in sé stesso, bensì sul ministero (Gv 21:15-177).
E' vero, la Parola afferma che molte sono le afflizioni del giusto ma, altresì aggiunge che il Signore concede liberazione (Sl 34:191). Non possiamo negare che ci provi nel crogiolo dell’afflizione (Is 48:102) ma è anche certo che è pronto a consolarci e a spronarci a fare altrettanto (2 Co 1:4-73), soprattutto, a non scoraggiarci perché il premio che ne deriva è di gloria eterna (Ro 8:18; 2 Co 4:16-174). Paolo, che ben conosceva la sofferenza (2 Ti 3:115), c’invita a essere vigili e a sopportarla come un buon sodato di Cristo (2 Ti 2:36) sapendo che pazienza, esperienza e speranza nascono dall’afflizione gestita dalla fede (Ro 5:1-47) .
La patristica è la teologia che ha avuto origine dai primi Padri della chiesa. Questo termine fu coniato nel XVII secolo per distinguerla dalle altre specialità teologiche. Alcuni studiosi ne hanno esteso la temporalità fino al II° concilio di Nicea (787). I Padri, eminenti apologeti quali Tertulisno (160-220), Origene (185-253), moralisti come Ambrogio (339-397), Gregorio Magno (540-604), biblisti al pari di Ireneo (175-?), dogmatisti del calibro di Agostino (354-430), Cirillo alessandrino (370-444), mistici del valore di Gregorio nisseno (335-395) e ascetici della portata di Basilio il grande (330-379), contribuirono, con i loro scritti, a sviluppare argomenti molto dibattuti quali: la Trinità, la cristologia, l’ecclesiologia, il peccato e la grazia.
Un patto altri non è che la stipula di un accordo tra due o più contraenti in base al quale si istituisce un’alleanza, un mutuo soccorso od opportune clausole d’intervento determinate dal contenuto di riferimento più o meno impegnante. La sua validità è soggetta al rispetto reciproco delle condizioni d’ingaggio. La garanzia, oltre che dalla firma, è data dalle clausole di pegno e rescissione che in caso di violazione prevedono sanzioni varie su diversi livelli in base alla gravità dell’inadempienza.
Questo patto fu stipulato a Horeb, nel deserto del Sinai durante l’esodo dall’Egitto (De 5:2; 29:9-141). I contraenti furono l’Eterno e il Suo popolo attraverso Mosè (Es 34:272). Dio promise una vita sicura, dignitosa e proficua a quanti avessero osservato la legge che il Suo stesso dito avrebbe scolpito col fuoco su due tavole di pietra: i dieci comandamenti (Es 20:1-173). Pur essendo parola santa e completa di Dio, data per il bene dell’uomo, erano inosservabili nella loro completezza proprio per la debolezza umana intrisa di peccato (Gr 17:9; Sl 51:54). Il segno distintivo era la legge del sabato (Es 31:13-155).
Il nuovo patto, predetto da Geremia (Gr 31:31-331), grazie ai sentimenti di misericordia di Dio (Sl 103:13-124), ristabilisce l’intima e primitiva relazione dell’Eterno con l’uomo perduto nel peccato per la sua ribellione primordiale (Ge 3:1-53). Il tramite è il sacrificio sulla croce e la resurrezione del Figliul Suo Gesù Cristo (Eb 10:15-17; 12:244). Quest’evento ci permette, pur non avendone radici, diritto e condizione, d’essere innestati sul tronco originale, Israele (Ro 11:23-245), quali figli riscattati affinché ricevessimo l’adozione (Ga 4:56) e diventassimo popolo Suo tramite la conoscenza della salvezza e il perdono dei peccati (Lc 1:777). Il segno è il sangue (Mt 26:288). Il vecchio patto era fondato sulla legge, mentre, quello nuovo, lo è sulla fede in Cristo Gesù.
I patti che coinvolgono Dio, sono delle generose promesse che Egli fa all’uomo, subordinate, però, al rispetto delle condizioni imposte. Nell’A.T. i patti tra Dio e l’uomo furono diversi. Il primo fu quello stipulato con Adamo: vita eterna in cambio d’obbedienza ma quest’ultimo non obbedì (Ge 2:16-171). Il secondo fu con Noè: salvezza dal diluvio a fronte di un’unicità divina. L’arcobaleno ne fu il segno (Ge 9:12-172). Seguì il patto con Abramo: l’eredità di Canaan (Ge 15:18; 17:2-143) per la fedeltà. La circoncisione ne fu il segno distintivo (Ge 17:104).
Dopo il patto con Abramo, attraverso Fineas, zelante figlio del sacerdote Eleazar (Nu 25:111), Dio stabilì un patto con la tribù dei Leviti affinché fosse assicurato, attraverso i suoi discendenti un sacerdozio perpetuo (Nu 25:12-132). Il simbolo di tale intesa era il sale (Le 2:12-133) . Seguì il patto con Davide, figlio di Isai (Ru 4:224) e re d’Israele (1 Sa 16:13; 2 Sa 5:4-55). Esso prevedeva protezione e un regno eterno alla sua discendenza (Sl 89:20-386) in cambio della fedeltà e, nell’intento di Davide, della costruzione di un tempio (2 Sa 7:8-167) realizzato, però, successivamente, dal figlio Salomone (1 Cr 28:3-78).
La paura è un sentimento che nasce da un intenso turbamento e si manifesta con un senso d’inquietudine, più o meno malcelato, nei confronti di un pericolo reale o anche solo immaginario. Questa è una sensazione che non dovrebbe far parte del bagaglio spirituale di un credente (Pr 1:33), anche se il nemico non perde occasione (Sl 55:4-5), perché Dio è il suo baluardo (Sl 27:1). È l’empio che, sentendo rimordere la propria coscienza (Ge 3:10; Pr 28:1) ne deve aver timore (Gb 15:24; 18:11) perché sarà il compenso del suo futuro (Ap 21:8). Vedi in contrapposizione Timore di Dio*