IRENEO DI LIONE
(Asia Minore 130 ca. – 200 ca. d.C.)
Della vita di Ireneo, figura di spicco e padre della chiesa di lingua greca, ben poco si conosce.
Nato in Asia Minore, forse a Smirne, nel 130 ca., si stabilì a Roma. Si sa per certo che fu vescovo di Lione, in Gallia, dal 177 ca. fino alla sua morte, martire per la fede nel 200 d.C. ca..
Di lui si apprezza uno studio di formazione catechetica imperniato sulle testimonianze delle scritture. Sostenne a spada tratta la “regula fidei” (regola di fede), affermando l’assoluta fedeltà della Chiesa nella proclamazione del vangelo come ricevuto dagli apostoli, arrivando all’asserto della “fonte unica”, laddove la “teologia” si basa sulla scrittura, e la tradizione è il “metodo tradizionale”di interpretarla. Tra l’altro sembra essere il primo autore a parlare di un Nuovo Testamento rispetto all’Antico. Teologo di primo piano, fu strenuo difensore dell’ortodossia contro la sfida gnostica avanzante (Adversus omnes haereses – Contro tutte le eresie-). Controbattendo il “dualismo” proprio di questa eresia, che riteneva che la materia fosse per natura malvagia, Ireneo, con semplicità, si rifaceva alla fisicità del pane, del vino e dell’acqua, chiedendo come potessero queste cose essere di natura malvagia, vista la rilevanza che rivestivano nei sacramenti. Dedicò un profondo studio a un controverso problema, tuttora molto appariscente, sulla teodicea ( parte della teologia che tratta la giustizia di Dio), senza per altro sviscerarne completamente le parti intrinseche: l’esistenza del male e della sofferenza nel mondo in rapporto alla “bontà” di Dio. Egli basa la crescita dell’individuo sull’esperienza “vissuta”, a qualunque titolo, del male e del bene onde poter maturare una consapevolezza attendibile e reale, per cui questa “valle di lacrime” sarebbe un “campo di addestramento per l’anima”. Nel suo rapporto con la Trinità, sostenne la posizione essenziale dello Spirito Santo, per il cui tramite furono pronunciate le profezie, ci è stata fatta grazia di avvicinarci e conoscere le cose di Dio, e per la cui pienezza ci è permesso di percorrere sentieri di giustizia. Rigettando la distinzione gnostica del Dio creatore “demiurgo” nell’Antico testamento, come inferiore al Dio redentore del Nuovo Testamento, egli maturò nell’interazione trinitaria, l’espressione “economia della salvezza”, cioè “il modo in cui Dio ha ordinato la salvezza dell’umanità nella storia”. Convinto millenarista sostenne la realtà di un regno secolare ricostituito sulla terra, basando le sue affermazioni su quanto narrato in Apocalisse 20/2-5 e su quanto affermato da Gesù nell’ultima cena: “Non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò di nuovo con voi nel regno del Padre mio” Marco 26/29. Proprio perché “bere il vino” non era prerogativa di esseri incorporei ma propria di esseri carnali, egli ricavava la fondazione tangibile del regno di Dio in terra, prima del giudizio finale.
A proposito di…
* Circolava un detto nella chiesa dei primi secoli a proposito della liturgia: “Lex orandi, lex credendi!” che oggi suonerebbe più o meno così: “Il modo in cui preghi determina quello che credi!”, estendendo: “Il modo in cui i cristiani pregano e rendono il loro culto incide su quello che credono!”. (cfr. – Teologia cristiana A. MG.).
* Parlando del rifiuto della Pasqua quartodecimale, fortemente voluta da Vittore vescovo di Roma (dal 189? al 198?), Lutero così riferisce: “Vittore I° pontefice romano, volle scomunicare i vescovi dell’Asia: ma venne rimproverato non da Paolo (cfr. Galati 2/11: - Ma quando Cefa venne ad Antiochia, gli resistei in faccia perché era da condannare - ), ma da Ireneo di Lione, e costretto, anche da tutti gli altri; venne ammonito e gli venne ordinato di restare in pace e di non mettere in agitazione la chiesa, ed egli (Vittore), come si conveniva, si piegò a loro”. (WA 2,299,32-36) in cui Lutero scrive che i vescovi “gli imposero il silenzio in quanto a lui superiori”.