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Girolamo Savonarola (1452-1498)

 

Girolamo Savonarola, frate domenicano di Firenze, fu un personaggio alquanto scomodo. Si scontrò con il contemporaneo Papa Alessandro VI (Rodrigo Borgia), uno dei papi più corrotti di tutti i tempi, le cui ricchezze, complice il sostegno degli Sforza, lo resero famoso in tutto il mondo (vedi nota).

Cattolico devoto, condusse un’esistenza di preghiera alla ricerca di una vita quanto più corrispondente alla purezza del suo Salvatore. Preparò la strada alla Riforma Protestante al punto di ispirare Martin Lutero ed essere da lui definito “martire protestante”. Fra i suoi seguaci e amici, troviamo anche Amerigo Vespucci, cambiavalute del banco mediceo.

Nel periodo 1496-98, Firenze fu toccata da un forte risveglio spirituale e lo strumento che Dio usò maggiormente fu proprio il Savonarola. Da giovane passeggiava per Firenze invocando Dio perché intervenisse contro il peccato, le ingiustizie e la povertà del popolo. Molte furono le lacrime versate a causa della lussuria, della crudeltà della classe governante e della chiesa, della miseria in cui versava il popolo in una delle città più ricche del mondo. Base di ogni sua predicazione fu la Bibbia, il suo pane quotidiano e per questo non volle mai parlare a nome proprio, bensì in quello di Dio.

 

Vista l’importanza che le Sacre Scritture rivestivano nella sua vita, così di lui fu scritto: “La Bibbia era stata la guida più sicura della sua infanzia, la sua consolazione in momenti di afflizione, era il pedagogo che più di qualsiasi uomo, aveva formato alla sua mente. Non c’era versetto che non conoscesse a memoria, nessuna pagina che non avesse commentato e dalla quale non avesse tratto qualche spunto per la predicazione. Non era più un semplice libro: era un mondo vivo e infinito in cui gli venivano rivelati il passato, il presente e il futuro. Non riusciva ad aprire le Sacre Scritture senza essere stupito dal fatto che stava leggendo la Parola di Dio, e in Essa discerneva il microcosmo che parlava dell’universo intero, l’allegoria di tutta la storia della razza umana” (Villari, La vita e i tempi di Girolamo Savonarola, pp. 117-118).

 

Il grande riformatore, appassionato degli scritti dell’apostolo Paolo, conobbe anche quello che fu il frutto della predicazione dell’Apostolo fra gli efesini, i quali diedero alle fiamme tutti i testi e le effigi sacre che glorificavano la dea Diana: “Fra quanti avevano esercitato le arti magiche molti portarono i loro libri, e li bruciarono in presenza di tutti; e, calcolatone il prezzo, trovarono che era di cinquantamila dramme d'argento” (Atti 19:19).

Savonarola incoraggiò la popolazione di Firenze a fare altrettanto e migliaia di testi pagani, immagini sconce, libri di perversione, dadi e carte da gioco, bruciarono su quelli che furono denominati: “I roghi delle vanità”.

Grazie all’autorevolezza della sua predicazione, la città di Firenze conobbe un periodo di rigenerazione spirituale in cui furono chiusi tutti i bordelli e i teatri che rappresentavano spettacoli immorali; le corse e il gioco d’azzardo furono proibiti e la repubblica divenne, per il breve periodo in cui la amministrò, un governo di tipo teocratico che qualcuno definì: “Il Cielo sulla terra”.

La sua predicazione fu rivolta a ogni ceto e condizione sociale apportando un cambiamento enorme nella vita della città. La corruzione sparì, ladri e briganti non “esercitavano più” e i ricchi restituivano il maltolto ai bisognosi. Fu così che la città conobbe un tempo di vero benessere materiale, morale e spirituale.  

Preconizzò la rovina della chiesa corrotta profetizzando la morte, in un solo anno, del governatore della città, del papa Innocente VIII e del re di Napoli.

 

Tutto questo fomento, ovviamente, disturbò non poco le autorità politiche e religiose, a tal punto che, spinti dall’ira per i cambiamenti radicali che erano apportati in ogni settore della vita pubblica, dalla gelosia per la sua popolarità e dalla paura della sempre maggiore influenza che esercitava sulla gente, cercarono di metterlo a morte. Lo sottoposero a una settimana ininterrotta di torture facendogli confessare delitti mai commessi e, con pelosa cortesia, gli salvarono la funzionalità di un braccio e di una mano affinché potesse scrivere le sue “ultime volontà”, naturalmente sotto rigorosa dettatura. Fu portato, infine, al patibolo e davanti a una folla di migliaia di persone, innalzò ancora il nome di Dio: “Non devo morire volentieri per Colui che ha sofferto tanto per me?”

Con queste ultime parole sulla bocca fu impiccato assieme ad altri due frati e arso sul rogo. Le sue ceneri furono sparse “in Arno”.

 
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